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Ero stesa su di un’amaca, un pomeriggio di fine aprile in cui chiedevo solo di riposare in quel giardino incolto, con i miei gatti intorno e nessun pensiero fosco. All’improvviso una folata di vento fece “sgretolare” i rami di un albero sotto i miei occhi. Se fosse stato un video, avrei visto come un disgregarsi di pixel che, simile a uno stormo senziente, prendeva una direzione e la perseguiva per i secondi concessi dal vento. Finita la raffica, un componente mi planò vicino; era un seme…

foglie
…e questo l’avevo capito, nonostante voi mi immaginiate con l’espressione da svampita, occhi girella, bocca a OH!

La cosa stupefacente era la forma che consentiva lui di volare: una pallina con due alette in cima a uno stelo. Queste ultime ruotavano come le pale di un elicottero, permettendo lo spostamento per una lunga distanza seppur con una modesta spinta eolica. Tutta questa roba: l’albero pixellato, lo stormo, i semi ( per non parlare della bellissima giornata di pace e l’amaca) mi fece sentire come se avessi sbattuto il cranio contro la bellezza. E per di più casualmente, una coincidenza fortuita. Ora non mi fraintendete, so di non aver assistito a un fenomeno rarissimo in natura, posso immaginare che questo succeda spesso, ma intanto io ero lì e nonostante fosse il mio giardino, non vi avevo mai visto nulla del genere. Trovare la bellezza è dunque la vera scommessa? Non so, ma ci ragiono. Come posso fare entrare la danza, o la mia visione dell’arte in genere, in quest’immagine? Posso, mi spiego con calma e a capo.
Quando noi firmiamo una coreografia, (scusate parlo da autrice perché mi semplifica molto la spiegazione, eh?! NON ME LA TIRO!!!), aggreghiamo pensieri e immagini, passi, suggestioni, concetti, estetica, gusto personale e altro. Più cose usiamo per strutturare un brano, più sarà personale e leggibile su molti livelli. Funziona come se noi presentassimo il nostro mondo, che non deve necessariamente essere difficile e intricato, ma sicuramente mai banale o dozzinale.
Questo è il mio albero.
Lo pianto nel mio giardino, cioè un teatro o un luogo nel quale è stato pensato. I semi sono i miei danzatori, che si libreranno in volo. Poi c’è il vento che diciamo è il contesto (da come sono io autore in quel momento, a chi mi richiede il pezzo).
Nessun autore sarà così pazzo da credere che il balletto rimarrà lo stesso, intendo uguale a come l’abbiamo pensato e visto fino alla prova generale per esempio. Mai! Ma neanche per un ciclo di tre sole rappresentazioni. Sto parlando di micro cambiamenti… Non è che metto in scena il “Bolero” e mi ritrovo “Coppélia”. Nooo! Ma non sottovalutate le cose piccole possono essere potenti, pensate ai virus…
Potrebbe succedere un infortunio, uno dei miei semi potrebbe avere una forma diversa e deviare la rotta dello stormo: sapete i danzatori sono tutti diversi, (per inciso devo ammettere che è bellissimo che tutti danzino in maniera diversa e se tutti i semi fossero uguali ci sarebbe meno varietà di riproduzione).
Potrebbe cambiare lo spazio: avete idea di quanto cambi un pezzo a seconda dello spazio che si può usare? Quindi un altro giardino, un’altra posizione.
Può mutare il contesto e quello che era un pezzo scanzonato, diventa un pezzo di amaro sarcasmo.
Io coreografo (?) potrei voler migliorare ciò che per me fino a un giorno prima funzionava e ora non più; un’entrata, una pausa musicale, una luce, il colore di un costume…
Mille variabili.
Non credo davvero esista un autore convinto che la bellezza che crea possa essere qualcosa di permanente, se possiamo in qualche fortunato caso chiamarla così.
E’ una beata illusione quella di poter gestire un’opera d’arte che diventa una creatura con una sua storia e percorso. Certo ci sono cautele, tipo una struttura e un significato che la radicheranno, perfino la legge ci dà dei diritti su di essa ma tant’è…

Domenica scorsa sono stata invitata a una mostra di pittura. Alcuni quadri erano rimasti danneggiati da un incendio doloso nello studio del pittore. Portavano i segni di bruciacchiature e annerimenti che erano di più: il dolo, la rabbia e il rancore diventavano la storia di quei dipinti.
Dal momento in cui concretizziamo il nostro progetto artistico, (qualora fosse quello il nostro intento e non straparlare a vanvera e buttare un po’ di passi come capita), ci sono buonissime probabilità che questo abbia una vita sua; io vi ho avvisati. Rincontrarlo sulla nostra via e guardare a lui come un amico di cui sai tanto ma non tutto, rimane una fortunata coincidenza.

Ho ripreso un filo rosso in un dedalo di bellezza lasciatomi dalla Stef, se voleste, potreste apporlo come una decorazione .
Marghe & Stef

Margherita Mana

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