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Per molti anni ho danzato, per tanti ho cercato di dimenticare di averlo fatto, scoprendo poco alla volta che difficilmente la DANZA ti lascia, se ti aveva conquistata.
Ho cominciato a scrivere di danza sfruttando i miei diversi percorsi di studio, le mie esperienze e soprattutto proiettandomi in un viaggio inizialmente introspettivo e poi di studio vero e proprio, perchè la danza evolve nel tempo, cambia, ritorna, rielabora se stessa attraverso i suoi diversi interpreti e gli interlocutori.

Ci sono stati anni di gavetta e oggi qualcosa c’è, delicata consapevolezza che si può scrivere di danza e che puoi persino tornare a danzare. Non come una volta; ma come sono ora. “Inizia piano, Stef!” … Parli con la Marghe e lei mi mette in un batter d’occhio alla sbarra come io riesco a convincerla a mettersi anche al PC. E così ognuna finisce per scoprire qualcosa dell’altra e la danza torna il fulcro di pensieri e azioni condivisi fino a crearne di nuovi. Nostri.

Studiamo, insegniamo, andiamo a Teatro, parliamo e sperimentiamo quindi scriviamo le cose un poco come le sentiamo noi.

L’altra sera stavo seduta per terra in sala studio e guardavo tre danzatori e tre allieve provare una combinazione. Uno di loro era il coreografo e aveva montato un pezzo di hip-hop (in uno stile molto personale, calibrato su se stesso: molto gradevole da vedere…) su di una canzone, parola per parola. Il suo corpo si muoveva sulle parole stesse della musica in alti e bassi, in movimenti fluidi o spezzati: vediamo…. lasci andare il corpo nella dinamica dello spostamento e poi recuperi in un ‘picco’. Avrei voluto provare ma non è il mio stile e avevo un ginocchio malandato da qualche giorno e allora che fai? Cellulare alla mano vai di video che poi ti riguardi a casa. Soprattutto guardavo loro: le diversità sugli stessi passi. L’energia sugli stessi ritmi. Il movimento sulle stesse note.
Così mi torna in mente la settimana prima, Marghe ed io impegnate in uno stage. Io specularmente lei nella parte della tecnica classica, in un gioco strano e casuale di rimandi anche in riflessi colti negli specchi e poi la parte di “contemporaneo”. Da più di un anno ci lavoriamo molto e io vorrei arrivare più in là. Non è facile riuscire, ma è semplice guardare lei che danza e immedesimarsi: ha studiato con Trisha Brown, con Susanne Linke, con l’assistente di José Limòn….. ciò che Marghe ha sperimentato sul suo corpo è tanto e favoloso. Io ho fatto repertorio classico e neoclassico, ma ora, dopo anni di studio teorico, sono pronta per il CONTEMPORANEO. Ora? Pare buffo. Un pochino, come per la sbarra.
L’altra cosa cui penso era ciò che avevo chiesto nella breve lezione teorica che tengo ai nostri stage. La prima domanda è quasi sempre: “Che cos’è per voi la danza?”. Mostro fotografie, immagini di danzatori ma non solo, qualsiasi cosa possa evocare un richiamo armonico o un sovrapporsi di diversità che tendono a sembrare simili. Le chiamo assonanze e dissonanze. Perché pensiamo che la danza non sia un insieme di passi; questa è una combinazione. La danza è la risonanza del MOVIMENTO che quei passi generano.

Adesso dovrei scrivere questo articolo e mi vengono in mente tutte le scoperte che abbiamo fatto in quest’ultimo anno. Marghe è generatrice di idee, tutto ciò che il suo corpo ha accumulato. Si stanno evolvendo, assumono una coerenza straordinaria. Mi obbliga a rimettere in gioco me stessa. Si disserta, diciamo. E si prova su di noi.
Infinite volte abbiamo incastonato la danza fra due dimensioni: tempo e spazio, dando un valore diverso o meglio una prospettiva con angolazione diversa dal consueto perché poi la danza esce dal consueto, lo fa, ma credeteci non per estraniarsi, non per allontanarsi, bensì proprio per ritornare come fosse un’ECO.
E qui ci siamo fermate. La danza è un’eco o un RIVERBERO?
Che danza e balletto non siano la stessa cosa lo abbiamo detto. Che in qualche modo la danza sia movimenti legati al tempo dentro lo spazio anche. Vi abbiamo detto che lo spazio scenico è ovunque questo avvenga.
Ora per me la danza è un riverbero. Perché l’eco torna indietro in modo nitido e puro (cioè la stratificazione dei vari suoni avviene secondo una corretta acustica); il riverbero no, se restiamo nella metafora dei suoni, noi percepiamo il rimbalzo del suono vero di partenza, ma non esso.

Se uno si ferma alla tecnica pura, al virtuosismo, alla bellezza estetica della danza percepisce solo una parte di essa. Nella DINAMICA DEL MOVIMENTO ARTISTICO ciò che deve colpire i nostri sensi è il riverbero della stessa: un flusso di movimenti stratificati che arriva a noi come siamo pronti a recepirlo. Il rimbalzo o il riflesso (per la luce!) di tutto un lavoro alle spalle, ma che si realizza in quell’istante specifico e all’interno di una data spazialità.
Che dici, Marghe, procediamo?

Stefania Sanlorenzo

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