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di Massimiliano Craus

Tersicore a braccetto con Tirreno sul belvedere di Ravello per il quinto appuntamento di danza di questa sessantacinquesima edizione del festival wagneriano. Una fotografia atemporale e suggestiva della musa della danza con il protagonista del “Revolving karma” di Fabrizio Esposito, coreografo indipendente ma già solista del Teatro di San Carlo di Napoli. Così sabato 22 luglio circa seicento persone si sono assiepate sul belvedere di Villa Rufolo per raccogliere il testimone lanciato dalla direttrice artistica Laura Valente sull’abbattimento dei muri, leitmotiv di questo 2017 coreutico. E cosa c’entra Tirreno con i muri di tutto il mondo, naturalmente da abbattere sotto i colpi inferti da Tersicore? Ce lo spiega lo stesso Fabrizio Esposito, curatore per l’occasione del progetto “Abballamm’!”, diretto dalla stessa Laura Valente con il responsabile del progetto Gennaro Cimmino e la coordinatrice Susanna Sastro: Il filo conduttore scelto da Laura Valente per l’edizione di quest’anno è il “muro” o, meglio, i “muri”, in tutte le loro accezioni. Ma, com’è ovvio, il richiamo al momento più vicino a noi è certamente tutto ciò che ruota intorno alla questione migranti: i muri “fisici” dei paesi che alzano le barriere contro i nuovi arrivati; i muri “ideologici” ed “emotivi” che alziamo con la paura e la diffidenza. E così “Revolving karma”, eseguito da uno stuolo di baldi giovani diretti da Fabrizio Esposito nell’intento di stato centrare invece il karma propriamente inteso come relazione di causa-effetto connesso non solo ai comportamenti, ma anche e soprattutto alle emozioni che li muovono. Un successo emozionale ed emozionante per tutti, peraltro descritto dai social network presenti a Ravello in occasione del flash mob di qualche minuto prima con tutti gli interpreti in giro per il borgo a salutare anche il pubblico senza biglietto. In un’atmosfera che il coreografo ha voluto familiare, sin dai primi giorni di prove. Ho assegnato la creazione di alcune coreografie a Fioravante Botta e Luigi De Stefano – spiega Fabrizio Esposito – così come prezioso è stato l’aiuto di assistente alle coreografie di Luigi Pagano. I costumi sono stati disegnati da Manuel Calabrese, per la ricostruzione della drammaturgia e la scrittura di alcuni interventi di prosa presenti nel balletto è intervenuta M.Rosaria Carifano, la voce fuori campo che ha infine dato vita alle parole di Tirreno è dell’attore Giuseppe Pavarese. Un gioco che è diventato prepotentemente realtà, aderendo con estrema sensibilità al sinuoso corpo di un festival che si fa sempre più coreutico, oltre che wagneriano! E tornando a Tirreno, che c’entrerà mai con i muri e con Ravello? il pretesto narrativo che ho usato è stato quello della leggenda di Tirreno – chiosa Fabrizio Esposito –  Questa figura mitica, interpretata sulla scena da Riccardo Esposito, è descritta in vari frammenti di opere e autori antichissimi, come Dionigi di Alicarnasso o Strabone, e possiamo forse definirlo il primo migrante della storia. La leggenda di Tirreno, infatti, racconta di come suo padre Atys, re di Lidia, ne estrasse a sorte il nome tra i figli e lo spedì con parte della popolazione “al di là del mare”, a cercare un futuro migliore lontano da una terra flagellata dalla carestia. Quel mare prenderà proprio il nome del giovane migrante, che si troverà costretto a lottare contro gli ostacoli naturali, come le tempeste, le onde, la siccità, prima di sbarcare su quelle che sono le attuali coste della Toscana. Lì combatte contro i popoli autoctoni e muore prima di vedere compiuta la sua missione. Sarà il figlio Tarconte (in altre versioni indicato come un fedele compagno) a portare a termine tutto, a fondare nuove città governate dal vecchio popolo di Lidia e a dare origine a quella che sarà ricordata come la civiltà etrusca. A quel punto, saranno proprio i nuovi arrivati ad adottare i comportamenti di chi li aveva osteggiati fino a quel momento e ad alzare nuovi muri. E se vogliamo dirla tutta, gli Etruschi sono stati poi spazzati via dai Romani… E poi, ad antipasto cosmopolita della serata dello scorso 22 luglio, si sono esibiti tutti insieme l’Accademia Nazionale di Danza di Roma, la Sareyyet Ramallah con “Palestinian karma” di Bassam Abu Diam ed altri danzatori malesi per un progetto internazionale nel solco di una nuova frontiera della formazione nata e cresciuta dentro e fuori “Abballamm’!”. Un progetto a cui non ha potuto dire di no Bassam Abu Diam, così come ci ha spiegato con frasi al miele per l’esperienza di Villa Rufolo: in questa serata particolare porta sul palco di Ravello giovani artisti provenienti da tre paesi con le loro lingue e la loro cultura impegnati in un gioco di relazioni a tre a due e di gruppo dove l’identità comune si ritrova nella terra e nel corpo con le sue parti nel tentativo di distribuirne il peso oscillante tra il qui e l’altrove, il sotto e il sopra, l’orizzontalità e la verticalità, il vicino e il lontano. È la storia di una umanità contemporanea stretta tra il perimetro circoscritto dell’identità etnica e lo spazio fluido della globalizzazione. “Palestinian karma” inoltre, racconta anche il paradosso di una realtà dove gli incontri avvenuti, impossibili al di fuori del progetto, sono quel limite che lo stesso si è imposto di superare.

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