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Rileggere con la maschera di psicologo la danza ed il repertorio permette di scoprire assunti e interpretare gesti e movimenti con un occhio nuovo. Il mio assunto di partenza è che di fronte ad una maschera il cervello si comporta e si muove in ambito creativo, creando come avviene nel sogno.
William Shakespeare diceva “Considero il mondo per quello che è: un palcoscenico dove ciascuno deve recitare la sua parte”. “Un uomo non è del tutto se stesso quando parla in prima persona, dategli una maschera e vi dirà la verità” è l’assunto di Oscar Wild.
La maschera copre il volto mettendo a nudo tutto il resto del corpo e permettendo una diversa forma di espressività che arriva a parlare un linguaggio ancor più incisivo. Dal punto di vista psicologico entra in atto il meccanismo dell’io di difesa delle proprie credenze richiamando in causa il concetto di perturbante, già tanto caro a Freud, padre della psicoanalisi. Allo stesso modo di un elemento oscuro ma vicino al divenire conosciuto, esso rientra nell’ambito dello strano, del preoccupante ed a volte, nelle sue
forme più borderline, nello spaventoso. In quest’ ottica la maschera offre una possibilità nuova dello stare in scena: oltre al corpo, oltre all’espressione, attraverso il ricorso alla maschera lo spettatore è costretto a mettere in atto anche l’introspezione, l’inconscio e quindi l’emozione nella sua forma più profonda.
La danza ha il compito di essere tramite estetico e quando lo fa attraverso il ricorso alla maschera dimostra che ciò che sta sul volto spinge al corpo ed alla sua espressività, alla ricerca, attraverso una sola immagine fissata nella maschera, a infinite immagini, che il corpo cerca dandole vita. Come se le infinite espressività del volto umano fossero trasferite sul corpo stesso. In questo rituale originario che la maschera compie
nascondendo il volto e denudando il corpo, ne potenzia l’espressività. Quando ci “nascondiamo” il volto dietro e dentro la maschera, si recupera la fisicità ed il simbolismo rituale assopito ed addormentato interiormente. Ne risvegliamo la forza scenica ed espressiva.
Il mistero della maschera nelle svariate e variegate culture ed epoche storiche può far comunicare le generazioni attraverso i secoli. Essa riporta la soggettività a fatto fisico, iconico, corporeo e contrasta radicalmente con una prospettiva di esaurimento dell’umano del logico-verbale, nel discorso. In questo senso essa è la concretizzazione della “parola mancante”. E sul versante del corpo la maschera è “corpo scorporato”, seconda pelle, occultamento ed esibizione, un linguaggio a sé che oscilla tra inconscio e estetiche altre (H.Damisch).
Come fa notare Pietro Clemente: “Mettere in mostra la “maschera” è sempre in qualche modo mirare al cuore del “mistero” della natura della cultura, ma la maschera è congeniale alla mostra per la sua capacità di comunicare senza bisogno di spiegazioni”.
L’interpretazione ha bisogno infatti, per avere credibilità in scena, di energie che si facciano pura danza, raggiungendo la bellezza non nella realizzazione del gesto di per se, ma nella sua forza espressiva. Togliere all’umanità il ricorso alla maschera evidentemente corrisponde ad omologarci rendendoci più uguali possibili, quando sappiamo che le società per loro natura, si identificano e convivono invece nella diversità
variegata delle multi etnie, fatta di simbologie e ritualità. Togliere tutto questo ad un popolo significa renderlo schiavo, debole e maggiormente controllabile.
Non è forse vero che ogni giorno, sin dal mattino, vestiamo la maschera più adatta alla giornata che ci attende, tenendoci pronti a cambiarla dinnanzi alle situazioni inattese? E non è forse vero che lo stesso fa l’artista, attore, cantante, ballerino che sia nel sentirsi parte di un ruolo? Se così è forse rendere esplicito il ricorso ad un immagine altra può solo enfatizzare un comportamento che all’inizio della storia dell’uomo era rituale e che a mio parere lo è assolutamente ancora oggi.
Spesso cerchiamo stimoli per metterci alla prova, per cercare di sentire e vivere nuove emozioni, e troppo spesso non ci accorgiamo che quegli stessi stimoli sono davanti a noi.
Le maschere così come mostri, androidi, personaggi futuristici o di fantasia sono, nel loro essere perturbanti, benzina e dimora e della nostra fantasia. Perderli significa negarsi.
La danza può così darci modo di riflettere su noi stessi, istruendo e tramandando una cultura descrittiva del sociale ma anche del personale perché nella memoria si fondano le basi per il vivere futuro.
E tu che maschera sei…. E che maschera vorresti essere???

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