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Un lago, una storia, una coreografia che nei secoli si rigenerano, immutati nella propria essenza, anche quando i passi della danza cambiano.

Quando la scenografia i costumi e le luci lo calano in contesti diversi: “Il Lago dei Cigni”.

Grandissimi coreografi hanno riscritto Il Lago dei Cigni di Ciaikovskij (1875-1876), ne ho parlato in diverse occasioni, ho cercato i punti di contatto e le divergenze, sono risalita alle origini del mito classico o della storia originaria del “velo rubato”, arrivando alla conclusione che è l’anima del balletto stesso a essere immortale. Questo balletto ha un’anima. Qualcosa di nascosto nel profondo di un cuore a più strati, ognuno dei quali ha la sua evidenza. Non muta forma, cambia solo prospettiva.

Fredy Franzutti ha un tocco unico, perché senza timore di confronti con nomi altrettanto celebri e talentuosi, puntando sull’energia dei suoi danzatori del Balletto del Sud, spazia nel mondo del repertorio classico, non privandolo della sua “classicità” tecnica e di movimento, del suo costrutto tradizionale. La sua è una lettura culturale, con una forte matrice storica e letteraria, su cui si innesta una vivace e intrigante creatività.

Davvero un sapiente intreccio questo proposto da Fredy Franzutti, per cui non mancano i rimandi letterari: il lago è uno specchio, riflette l’immagine distorta del giovane in crisi d’identità, cattura l’anima di esseri metà umani metà cigni, li lega a sé in un patto senza fine. Il lago e il bosco sono l’alternativa alla vita vera, la scelta che rapisce e imprigiona: il primo significato in letteratura del ‘patto con il diavolo’ fu per brama di conoscenza della natura; poi nelle riletture fino a Goethe, incluse la bellezza, l’amore e la smania di onnipotenza.

‘Il Lago’ è una sfida.

Il lago di questo balletto è, a mio avviso, il vero polo magnetico che continua ad attrarre il mondo della danza da ambo i lati: la messinscena e il pubblico. Come se tutti fossimo intrisi di questo “incantesimo” che da esso scaturisce. Fredy Franzutti trasforma il concetto, usando il termine “incanto”, in un gioco lessicale che gli permette di calare il balletto storicamente alla ‘fin de siècle’ con l’ombra di Ludovico II di Baviera, nei costumi stessi, come nello sfondo del castello di Neuschwanstein. Un richiamo scenografico (a cura di Francesco Palma) e concettuale: il Castello della nuova pietra del Cigno.

Così anche lui, il Cigno, fa la sua comparsa.

Il balletto è concepito in due atti per una durata di due ore di spettacolo, e ha debuttato nel 1999. Il 3 gennaio del nuovo anno (2016) è andato in scena al Teatro Rossini di Pesaro.

Lo stile non abbandona il romanticismo della storia originaria. In verità, poco si scosta dall’originale, se non per quella connotazione che ne fa un cameo nel panorama della danza. Cioè mette in risalto strati meno visibili se non sfaldando un poco la matrice della pietra preziosa, che è ciò che fa Franzutti. Tiene conto di tutto ciò che è già stato svelato.

Il dualismo, cigno bianco-cigno nero, che diventa prismatico in amore-morte, luce-ombra, bene-male, sogno-realtà, bellezza-turbamento e così via. I cigni sono l’irreale e sono maschi e femmine; in qualche modo simboleggiano l’arte come alternativa alla realtà, quella che il giovane Siegfried non riesce ad accettare. Non principe, ma rampollo viziato di una nobildonna vedova che mira a conservare uno status sociale e un patrimonio, perciò ha bisogno di valide nozze del figlio.

Si vedano alcune sfumature… dai cigni androgini di Mats Ek, a questi di ambo i sessi (il che rispetta il mito classico perché la metamorfosi in cigno è spesso maschile; ha una connotazione allegorica maschile, nel collo lungo) e si pensi ai Cigni di Bourne!

Ancora… Il duplice ruolo di Odette-Odile: amore puro, amore sensuale e seducente (in Ek vince la passione per il cigno nero); ma sdoppiate o meno le ballerine, in realtà si sovrappongono comunque perché la femminilità si esprime in entrambi i modi.

Quindi l’incertezza del giovane e la follia di Ludovico II che fu deposto e rinchiuso in una torre a combattere con il proprio lato oscuro e annegherà nel lago (i due cigni… per Neumeier: Ludovico di Baviera è il cigno bianco e l’ombra che offusca la sua mente è il cigno nero). Siegfried è turbato e una perversione che è legata al lago lo rapisce a se stesso.

Nel personaggio di Rothbart c’è una nota più incisiva. Da proiezione del giovane confuso, da ombra di pazzia, da mago a demone del lago, che chiama a sé giovani e giovinette donando l’immortalità in cambio della loro anima.

Odette è una di loro; Odile lo strumento per impedire che il vero amore trionfi. Così è segnato il giovane, perché sedotto dall’amore passionale, perde la purezza di spirito.

Il finale, tante volte cambiato, qui è aperto. Cedendo alla proposta di Rothbart, Siegfried diventa cigno fra i cigni per non perdere Odette. Alla vita con i suoi turbamenti sceglie la bellezza eterna, l’arte forse, in una ulteriore chiave di lettura.

Questo lavoro di Franzutti ha generato ‘Un Lago’ meritevole di considerazione, fra i molti passati e futuri. Perché ce ne saranno altri, poiché questa partitura è destinata a essere danzata, ancora e poi ancora, comunque la si interpreti.

https://youtu.be/KUwUN81tflI

Stefania Sanlorenzo

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