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di Stefania Sanlorenzo

La visibilità in letteratura, secondo uno scrittore come Italo Calvino, è la lezione ultima relativamente alla comprensione di un testo. Dunque la forza del linguaggio scritto. L’uso delle parole, che appartengono anche al linguaggio parlato, deve essere tale da rendere “visuale” ciò di cui si tratta.

Mettiamoci di fronte a un’apparente specularità; devo fare in modo che la parola componga un’immagine, come in danza, nella cristallizzazione della figura, devo raggiungere il concretizzarsi di una “parola”, se vogliamo considerarla in senso molto lato come la comunicazione di qualcosa: un pensiero, una sensazione, un dubbio o una incomprensione, un nulla astratto che fluisce nella sfera del concreto, come due cerchi che in parte si sovrappongono.

Non vi è nessuna contraddizione tra linguaggio verbale e non verbale perché entrambi con leggerezza, rapidità, esattezza, molteplicità e sostanza/consistenza (cit.: Lezioni Americane, 1984) devono raggiungere un destinatario in modo efficace.

Il grande Maurice Béjart coreografo, innovatore geniale di un linguaggio danzato già in forte evoluzione (quel neoclassicismo che si incontrerà con le forme prime e poi sempre più evolute di danza contemporanea) disse: “La gente ha bisogno di immagini, ha bisogno di emozioni, di lirismo. La danza permette di mischiare un PIACERE ESTETICO, UN PIACERE DINAMICO E UN PIACERE EMOZIONALE”.

Non c’è due senza tre. Citerò Dominique Hautreux, che rimescoli questo mazzo di carte: “Il nostro corpo crea il pensiero e la danza è il suo linguaggio”.

Mi rendo conto di aver scomodato nomi famosi, radunandoli intorno al senso del linguaggio così come sono venuti a me. I motivi sono tanti, primo fra tutti che sono anni… tanti anni che PARLO E SCRIVO DI DANZA. E sapete di che si tratta? Passione e perfetto masochismo.

Alle volte mi rileggo per riconoscere pensieri che nel tempo sono diventati meno vivi, poi leggo qualcosa di più recente e, in effetti, si cambia anche modo di scrivere, di approcciarsi alle tematiche, di evidenziare temi e problemi… in realtà poi ti accorgi che tu sei sempre tu, che le tue parole continuano a definirti e provi quasi un senso di sollievo e di stizza insieme.

TUTTO SI TRASFORMA. Certo e per fortuna, il cambiamento è vita. Non può essere sempre un miglioramento purtroppo, ma rimane un modo che l’uomo e la società hanno per sperimentarsi, per rivalutare: per proseguire, fermarsi o fare qualche passo indietro.

Il mondo della danza è un caos. Esattamente come il “vaso di Pandora”. Non faccio più la ballerina e quest’anno non insegno. Sono però una opinionista, seguo cosa accade intorno a me e faccio da assistente alla ballerina Margherita Mana; lei danza, lei insegna, scrive coreografie, scrive articoli come e con me e insieme crediamo nella diffusione di questo progetto: ‘insegnare coreografando’, attraverso laboratori tematici di contemporaneo in scuole già avviate e con la voglia di mettersi in gioco su qualcosa di inevitabilmente diverso dal consueto.

Ecco il consueto. Non se ne può più. Non esistono giri di parole, mezze misure, abbellimenti, aggiustamenti, rivendicazioni che facciano la differenza: non siete stufi di questa sostanza che continuiamo a chiamare danza, #danza sui social, Danza sui cartelloni degli spettacoli o in TV accostata a: talento, show, celebrità, icona secolare (di quale secolo?)…. stufi?

Io sono satura di questa “danza” che in Italia non produce alcuna aspettativa sulla gente.

Allora scrivo di danza da una vita perché essa è parte della mia stessa e provo una noia tremenda.

Mi si blocca la peristalsi, giuro. Incremento il mercato delle prugne della California (ma le nostre?).

Ultima citazione: “Danzare è alterare il vuoto” (Benameur).

Non sono una opinionista, parola orribile. Sono una donna, una sognatrice che sa perfettamente che saltare è un po’ come volare, ma torni sempre sui tuoi piedi e se non fai plié, ciao ciao…. legamenti tendini ossa ossicini… girare è una sensazione incredibile ma puoi cadere e serve per imparare a rialzarsi, come nella vita quotidiana.

  • “Ah, sì! Cosa fai tu nella vita?”

  • “Faccio la ballerina”.

  • “Mah tu senti… Anche io! …E ti basta?”

  • “Non so, vorrei una casa, ecco! Con il giardino…”

  • “Eh… E bambini?”

Serve un grafico delle priorità. Assolutamente o qui si mette malino.

Scusi!!!! Cristiana, scusi…. le spiace salire un attimo sul linoleum? Grazie. Perfetto!”

CRISTIANA MORGANTI indossa una morbida tuta nera, i ricciuti capelli scuri fanno volume sulla sua testa, il viso capace di espressività e inespressività è bello, pulito, chiaro, vivido il rossetto. Ha il microfono pronta per entrare in scena e ci fissa. “Siete proprio ben assortite voi due. Più identiche e scombinate di così non sarei riuscita.”

Io ho uno scamiciato nero morbido, fascianti le mie forme più generose. Lei, Marghe, ha un tubino nero e le scarpe col tacco alto. Lo scopo è raccontare una storia dove ciò che appare uguale è l’esatta manifestazione degli opposti.

Sulla splendida scia di Pina Baush, si tratta di TEATRO-DANZA. CI SONO MUSICA, MOVIMENTO, COREOGRAFIA, EFFETTI DI LUCE E PAROLA (in diverse lingue). Ci sono repentini cambi d’abito anche in scena, corrispondenti a potenti cambi umorali. C’è la video proiezione su schermo per enfatizzare questa sorta di conversazione a due, piuttosto animata. Come il racconto reciproco di vite così uguali e così diverse da farci infuriare. A FURY TALE.

Sentilo il linguaggio: a fairy tale è una favola, a fury tale è quella esplosione dei nervi che fa saltare il discorso a due dalla realtà al sogno, dalla delicatezza al selvaggio mondo di altre creature, irriconoscibili, dall’amicizia al distacco, urlato mimato spiegato.

La veemenza di due vite femminili. Mi cambio e indosso un vestitino a fiori, come sono delicata e femminea…. La Marghe mi guarda, i lineamenti perfetti del suo volto fine sono basiti e gli occhi dicono solo: “Stai scherzando?”. Ci cambiamo entrambe, gonne e maglie di assortiti colori. Sbam!

Tento un’entrata in scena ammantata di veli, fulminata esco e lei rimane lì, si muove e altera il vuoto. La sua identità è definita da linee, cadute, spostamenti. L’imprevedibilità del cambio di un ritmo: sostengo il movimento, lo spezzo, lo lascio fluire…. creo un effetto ottico e lo spingo verso lo spettatore. Visibile/Invisibile Teatro/Esistenza, quali sono i confini?

La rabbia esplode persino nella dolcezza di un’amicizia, la comprensione dall’incomprensione, la condivisione delle proprie vite fuori dal palco in momenti di incroci, di tattilità, di corporeità.

La musica rompe i timpani e si ammorbidisce dal punk in Bach. Ci guardiamo: Marghe e Stef.

Non siamo noi due. Noi stiamo parlando sedute al bancone della cucina. Parliamo delle nostre vite, così diverse, del ritrovarsi, degli stop & go: “Go, Stef!”.

Sul palcoscenico del Teatro Astra a Torino ci sono due danzatrici dai capelli fulvi come il manto di una volpe: Anna Wehsarg e Anna Fingerhuth del TANZTHEATER WUPPERTAL PINA BAUSH.

Buonasera e grazie

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