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Difficile trovare qualcuno che abbia le idee così chiare su se stesso e sulla propria posizione all’interno del mondo della danza, specialmente per quanto riguarda l’approccio alla composizione coreografica.
Abbiamo visto la composizione di Elena Turchi per il Contemporary On Stage di Danzafiera e non abbiamo avuto dubbi su chi si sarebbe aggiudicato il nostro Premio per la Comunicazione.

Parlare di come ha iniziato, di quanti anni di formazione ha alle spalle è superfluo perchè quello che ci ha colpito è il modo che ha Elena di parlare del proprio lavoro: “Sono diplomata alla Royal Academy of Dance di Londra quindi ho una formazione che deriva dal classico… ho iniziato a studiare a 4 anni e mezzo. Ma non avevo intenzione di fare la ballerina perché mi rendevo conto dei miei limiti fisici. Si, ho studiato con Katia Mancini nella Miosotys Dans, Micha Van Hoecke nei Carmina Burana, ma il mio principale indirizzo è stato poi l’insegnamento. Ho capito fin da piccola quali potevano essere i miei limiti (anche fisici perché comunque per fare il ballerino devi sapere che devi avere delle caratteristiche che io non avevo) però ho sempre avuto tanta passione e tanto spirito di sacrificio; mi è sempre stato chiaro quali potevano essere i miei punti di forza ma soprattutto ciò che doveva essere il mio obiettivo e il mio obiettivo è sempre stato quello di diventare insegnante di danza e, solo successivamente quando sono riuscita ad aprire la mia scuola di danza, ho potuto implementare l’espressione anche a livello coreografico.”

Ora insegna alla Scuola di Danza Eden, di Livorno. “Con i miei allievi della Scuola di danza Eden, ho potuto sperimentare e comprendere cosa significa essere insegnante e avere la fortuna di avere persone capaci di interpretare vari stili di danza. In effetti concentrandomi poi sul modern contemporaneo sono riuscita a capire cos’è per me la danza e che la coreografia sarebbe stato ciò che avrei dovuto approfondire poiché diventava anche in qualche modo un’esigenza di espressione. Dopo 10 anni di sperimentazione e lavoro con allievi piccoli e grandi, ho fatto una serie di concorsi più o meno importanti, a livello nazione e internazionale e ho effettivamente capito che la mia strada poteva essere anche quella della composizione coreografica.”

Insegnamento e coreografia, due ambiti così vicini che spesso però in alcuni non si congiungono affatto… “Infatti ho potuto vedere che sono due cose totalmente differenti, perché un conto è l’insegnamento, un conto è riuscire a mettere in piedi produzioni intere e avere anche uno stile di appartenenza. Quello che ho potuto notare è un livello altissimo in Italia della tecnica, anche contemporanea. Io non ho l’ambizione di dire che faccio ‘tecnica contemporanea’, perché non è esattamente quello, il mio laboratorio coreografico si basa su un modern contemporaneo con una dinamicità e soprattutto quel che tento di mettere in scena si discosta un po’ da ciò che è il mondo attuale del contemporaneo (che non voglio giudicare) cioè dall’astrattismo.. quella danza contemporanea in termini astratti che lascia il pubblico un po’ dubbioso. Preferisco fare in qualche modo un passo indietro e di rivolgermi ad un pubblico più vasto cercando di dare una danza più fruibile, più adatta a tutti o che in qualche modo possa essere anche compresa, anche se a volte c’è questa difficoltà, anche mia personale, di interpretazione. Ciò che voglio fare però è mettermi dalla parte del pubblico e in qualche modo voglio riuscire a sperimentare regalando al pubblico qualcosa di vero e concreto a cui si possano avvicinare.  E’ un po’ come andare a vedere un film: mi deve prendere a livello emotivo, di organizzazione e di suspense e allo stesso tempo non mi deve lasciare con il dubbio. Quando mi alzo mi devo sentire appagata. Nello stesso modo è un po’ la concezione che ho nella fruibilità della danza: devo vedere sicuramente una tecnica di base forte nel ballerino, sia che sia giovane o anche più maturo, ma soprattutto giovani.”

Elena dirige anche una Compagnia, quella con la quale si è presentata a Danzainfiera, la Our Contemporary Ballet: “La mia è una Compagnia giovane, fatta di giovani danzatori, ma con una forte tecnica, che studiano sempre ogni giorno dalla classica al contemporaneo, qualcuno anche il hip pop perché ho una passione nel vedere come unire e amalgamare i vari stili ed essere anche più attuali… la danza non può restare antica. Vedendo molti spettacoli di danza trovo che a volte ci sia una difficoltà non tanto di espressione ma di arrivare al pubblico in modo che non si addormenti dopo un’ora di performance. A me piace che il pubblico rimanga con noi e che si senta coinvolto. Questo può essere magari considerato più elementare ma per me non lo è, perché trovo che il danzatore, come il coreografo, abbia in qualche modo il dovere di esprimere quello che prova ad un pubblico pagante, perchè noi ci rivolgiamo a un pubblico che può andare dai bambini agli anziani, senza avere per forza una cerchia di élite. Per me il pubblico è veramente fatto da persone di strada e da qualsiasi persona che voglia venire a vedere un mio spettacolo. Ecco perché la mia ricerca è sempre su come esprimere il concetto, le emozioni e la trama senza dimenticarmi chi ho dall’altra parte che paga il biglietto e che per me ha la priorità assoluta. Our Contemporary Ballet è una realtà giovane in tutti i sensi, che ha la necessità di esprimersi sia come danzatori che come coreografia però nella consapevolezza dei punti di forza e dei limiti, perchè poi alla fine uno deve capire anche in economicità quali sono le problematiche e cercare comunque di andare avanti.”

Questa sua esigenza è stata molto chiara per noi fin da Danzainfiera, Elena è stata l’unica a darci una sensazione di storytelling e, in mezzo a molte coreografe da 7-10 minuti, la sua ci è sembrata durasse poco più di un minuto. Per noi è fondamentale quando si parla di ‘comunicazione’… inutile riempire 10 minuti di tecnicismi e belle prese se, alla fine, il pubblico non ha compreso cosa stavi raccontando. Grazie mille!  E’ proprio il discorso di non fare un pezzo che non abbia senso oppure che abbia senso ma che questo rimanga  del coreografo o di chi lo interpreta. Io mi sono messa spesso a vedere spettacoli di altre Compagnie eccellenti ma a volte mi alzo e non ho capito niente. È vero che la danza contemporanea deve lasciare spazio all’interpretazione ma poi rimane il dubbio se l’interpretazione è del pubblico che rimane così colpito che vuole andare a fondo per comprendere, oppure se si lascia all’interpretazione perché dei movimenti non avevano senso fra di loro. Mi sono fatta tante domande… ‘sono io che devo cambiare?’… poi ho anche pensato che ognuno deve essere quel che è perché se si tenta di cambiare per piacere agli altri non è detto che poi si piaccia veramente. Uno deve mettere in scena in modo libero per quel che sente l’esigenza e definire l’obiettivo: per me l’obiettivo è mettere un scena qualcosa di reale dove il pubblico, che sia una situazione ironica, drammatica o qualsiasi altro sentimento, deve sentire di appartenente a quel momento preciso ballato. Noi ci chiamiamo Our Contemporary Ballet (che è anche una delle prime composizioni coreografiche che ho concepito insieme ad altri 3 elementi che poi hanno costituito la Compagnia) dove ‘OUR’ significa NOSTRO in senso di appartenenza. È la nostra versione di danza contemporanea che ci appartiene e che vorremmo appartenesse al pubblico. Questo è quello che dovrebbe venire fuori perché poi è ciò che si vede di noi.”

E di loro si vede davvero molto se si assiste ad uno spettacolo… vi lasciamo la loro pagina Facebook https://www.facebook.com/OurContemporaryBallet perchè siamo SICURI che questa intervista vi abbia incuriosito quanto Elena ha incuriosito noi.

La redazione di iodanzo.com

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