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Il Don Chisciotte di Cervantes torna alla ribalta nelle rivisitazioni di due coreografi di talento.

Il 4 aprile 2015 ha debuttato in Spagna il balletto “Don Quijote” per coreografia e regia di Paolo Mohovich, lavoro commissionato dalla direzione artistica, Inma Gil Lazaro, per i 24 ballerini del Ballet de la Generalitat Valenciana, per cui il coreografo, dai molteplici impegni internazionali, ha già lavorato in altre occasioni anche recenti.

Il 18 aprile 2015 invece ha debuttato in Italia (Firenze) il “Don Quijote” di Loris Petrillo che, con la sua Compagnia Petrillo Danza e Cie Twain physical dance theatre, si è nuovamente imposto sulle scene dei teatri italiani con una netta rivisitazione del dramma e del balletto noto.

Molto diversi fra loro, i due lavori hanno dei tratti comuni, primo fra tutti l’allontanarsi dal balletto di repertorio di Petipa su musiche di Minkus, celebre nell’allestimento del Bolshoi (dicembre 1869) e per il famoso pas de deux (Basilio-Quiteria, nell’interpretazione indimenticabile di Nureyev nel 1966, o in quella più moderna del grande Misha Baryshnikov, carico di sensuale e istrionica bravura tecnica, che ha spesso focalizzato lo sguardo dello spettatore).

Iniziando dalla musica, Mohovich mantiene l’originale, Petrillo utilizza musiche di Pino Basile e AAVV (fra cui, inizio e fine, Minkus); la drammaturgia è a cura di Ximo Flores nel primo lavoro, di Massimiliano Burini nel secondo: in entrambi la scelta di un intervento recitato-parlato insieme alla danza. Per Mohovich è Cervantes stesso che legge in scena i propri versi; la presenza è fisica e rimanda alla scelta stilistica di attenersi di più al testo che alla coreografia tradizionale. Per Petrillo è la follia di Don Chisciotte a esprimere i pensieri dello scrittore, nelle parole di doloroso disprezzo che volge alle ingiustizie del mondo.

E poi si avverte il rafforzamento del personaggio, Don Chisciotte, cavaliere errante, che è finalmente protagonista del proprio romanzo anche nella danza. Non riveste più un ruolo secondario, non è solo quel filo che lega le vicende del balletto, o offre una divagazione; lui è essenziale. Quindi il rimando alla figura dello scrittore stesso o comunque alle pagine del 1600 da cui Don Chisciotte è uscito. Oggi, diventando un eroe della contemporaneità per Petrillo, oppure nelle sue sfumature più poetiche, per Mohovich, alla ricerca di un nuovo coinvolgimento.

Ho sempre pensato che questo balletto fosse un insieme di variazioni (messe e tolte a seconda degli allestimenti, tra l’altro) per le quali la bravura tecnica dei protagonisti veniva messa in evidenza con grande ricchezza anche scenografica e di costume (danze spagnoleggianti, zingaresche… divagazioni oniriche, per esempio. E tecnicamente combinazioni e passi di particolare virtuosismo).

Ebbene adesso il balletto assume una sua autonomia differente.

Per Petrillo si spoglia di tutto: la fisicità diventa il punto di contatto e si esprime nella bravura atletica dei tre interpreti in un trio sincronico che fa si che quasi si sovrappongano, recuperando nell’assolo, l’individualità (Don Chisciotte, Sancho e Ronzinante). Il concetto cardine è il coraggio: la follia è frutto di un conflitto interiore fra consapevolezza (mondo-società in decadimento) e impotenza dell’Io. Si esprime nel grottesco dei costumi (corpo) e usa la mente come strumento fantastico per cercare una forza nuova che non tema sconfitte e scenda in battaglia, quella fra apparenza e realtà, fra follia e saggezza. La follia è frustrazione, delusione davanti a ciò che mortifica l’uomo nel proprio profondo sentire.

Per l’allestimento di Mohovich, il cardine è la libertà.

La danza esprime il romanzo, i suoi personaggi, il viaggio e gli incontri di un folle o un sognatore, di un animo libero di credere nei propri sogni, come qualcosa di esistenziale per ogni essere umano. Le scenografie e i costumi sono adatti al contesto (Jorge Gallardo), il senso della poesia è più forte e si unisce alla fantasia della danza, alla sua morbidezza (alle volte allegra e ironica o simbolica), alla sua capacità di trasmettere un’emozione viva, lasciando spazio all’eroe, al senso di ingiustizia, alla debolezza del desiderio amoroso, come nel libro. Anche qui un trio si evidenzia fra i ballerini della compagnia, tutti molto motivati nella loro versatile capacità tecnica: Don Chisciotte, Sancho e Dulcinea. Tuttavia sono le parole di Cervantes, che narra i sogni della mente di Don Chisciotte, a essere il perno dell’opera. L’emotività del personaggio, che torna a noi da un passato lontanissimo, attraverso l’immaginario del balletto sigla questa coreografia di Mohovich e, in questa misura, si fa particolarmente apprezzare.

Stefania Sanlorenzo

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