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‘Letter to a man’ è il titolo dell’imperdibile e geniale rappresentazione che Misha Baryshnikov porta in scena al Teatro dell’Arte di Milano proprio nel primo giro di autunno: 11 settembre – 20 settembre 2015.

Indiscutibile il carisma di questo talento di 67 anni. Indiscutibile che l’allestimento teatrale sia frutto di un lavoro di altissimo livello artistico, interpretativo e filosofico. Perciò si va per lui, la star, e si va per la lettura dei ‘Diari’ (1919) di Vaslav Nijinsky.

La mano di Robert Wilson rende insuperabile l’interpretazione di Misha in un equilibrio fra musica, testo e movimento, in cui tutto è “danza”. Come potrebbe essere diversamente nella mente di uno dei più grandi danzatori di tutti i tempi? Istrionico, versatile, cosciente del proprio essere e della propria arte?

Un “equilibrio”, non una commistione, lo vorrei sottolineare perché fa la differenza con altri approcci di teatro-danza; un equilibrio dunque in cui concezione del tempo e dello spazio, uso delle luci e del design sono essenziali, qui, nella ricerca espressiva della poetica di pensieri frammentari e spesso spezzati alla loro origine. Schegge di una mente che consapevole scivolava verso la follia. Ma quale follia? Attraverso la percezione del dolore che la realtà provocava in Nijinsky, c’erano tentativi di rifugio nel proprio ‘io’ più profondo, in se stesso, per cercare quiete o assenza, fino, però, a non ritrovare più la strada per risalire, in una scoperta di spiritualità, anche del “divino”.

Non è a Nijinsky ballerino che guarda Baryshnikov, bensì alle parole scritte del suo Diario. Sono i segni grafici a dover diventare movimento, mimica, interpretazione di un animo la cui fragilità è arte. E’ un passaggio molto complesso e la tecnologia adottata nella regia di Wilson con la collaborazione di Lucinda Childs, supporta Misha unico soggetto sul palcoscenico.

Sono le ombre e le pennellate di luce a spostare i piani sui quali si muove Baryshnikov e a supportare la sua incredibile capacità di “essere il pensiero di Nijinsky”; di riportarlo a noi, oggi, vero e tangibile più che mai, nella gestualità di un insuperabile interprete, gestualità che parte e torna al viso, pesantemente truccato, marcato, segnato come doveva essere l’animo di Vaslav.

Lo spettacolo, che ha debuttato nel passato Luglio al Festival dei Due Mondi di Spoleto, è davvero un’occasione straordinaria. Luci e ombre di un mondo che ritorna: la storia russa dei balletti dell’ossessivo Diagilev, tra Mosca e San Pietroburgo, attraverso la conturbante figura di Nijinsky/Baryshnikov, in cui la fisicità esprime mente e spiritualità. Tormento e annientata speranza.

https://youtu.be/HKgJTsbe_5o

 

Stefania Sanlorenzo

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