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Indizi, sussurri e i mormorii sul nuovo Direttore di Ballo al Teatro La Scala di Milano


Vaziev ha lasciato La Scala per il Bolshoi è una realtà ormai affermata che finora ha determinato un vuoto, un’attesa, dei pronostici e qualche perplessità.

‘Cinderella’, che ha segnato, a settembre 2015, l’inizio della nuova stagione del teatro milanese, era forse piena di indizi: montata su misura per tempismo, per scelta degli interpreti, per tipologia del coreografo e il taglio adeguato. Adeguato a cosa?

Presumo a un’aria di cambiamento che sta pervadendo in modo inconsueto i teatri italiani, come già al Teatro Dell’Opera di Roma, ora sotto la direzione di Eleonora Abbagnato, étoile parigina.

Mauro Bigonzetti è un coreografo di 55 anni, viene dalla Fondazione dell’Aterballetto di Reggio Emilia, intriso di “contemporaneità”.

Le sue coreografie sono riconosciute per valore artistico e di innovativa scrittura, ben contestualizzate.

In attesa della conferma ufficiale, scattano comunque i contrasti.

Al contemporaneo si contrappone il classico, il rigore, la tradizione. E penso che si parli di stile.

Al senso pieno di un Corpo di Ballo di più di 90 elementi, con una intoccabile struttura, si contrappone l’esperienza di una compagnia d’autore all’avanguardia, costituita da una quarantina di elementi.

Alla figura del coreografo quella del direttore artistico: dunque alla creatività fisica e mentale, che la coreografia richiede, il senso della guida, della capacità di coordinazione, dell’adeguata visione a 360 gradi di un direttore artistico di un Corpo di Ballo dalla forte risonanza, in Italia e all’estero. E i ballerini non sembrano contenti, arrivano i sussurri, che diventano mormorii con persino un’impercettibile nota di disappunto, per qualcuno.

Talvolta il senso delle parole muta la percezione degli eventi.

La contemporaneità è l’oggi ed è un ambito entro cui si muove tutto ciò che riguarda la nostra realtà attuale, compresa l’arte e l’arte della danza. E… il destino delle produzioni dei Teatri italiani.

Le acque non sono tranquille, tante realtà inerenti la danza sono in crisi o sono destinate a sparire. Tanti progetti che andrebbero meditati sono chiusi in cassetti come pratiche lasciate insieme alla cancelleria, non come idee per le menti.

Molto della cultura della danza si sta perdendo, ma non credo che sia la rigidità a salvarlo; confido nella “comunicazione” e forse in un’apertura che possa incentivare e spronare verso nuove direzioni come anche ricalibrare ciò che la storia della danza dovrebbe con cura e dedizione preservare ed esaltare. Me lo auguro.

La decisione di Pereira fa mormorare e qualcuno sottolinea la distanza fra due mondi: quello dell’Aterballetto e quello del Teatro Alla Scala, che rappresenta il rigore della tradizione del repertorio classico accademico.

Potrebbe essere interessante, persino nell’accostamento dei ‘contrari’. Non resta che aspettare e vedere.

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