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di Margherita Mana

Tornare a casa, ora che le giornate si allungano, fa si che io guidi senza la fretta che mi mette il freddo. Prendo con leggerezza le curve placide che allontanano dalla città e mi riportano verso il bosco in sella al mio destriero di latta e valvole. Proprio dietro una curva, poco lontano da una centrale elettrica, Odile è fluttuante sulla Greve vicino alla riva. Mi accosto con la mia fotocamera con un’ottica inadatta, come recita la regola del fotografo dilettante imprevidente. Il cigno nero galleggia ruotando su se stesso come se mi desse la possibilità di cogliere il suo lato migliore, forse la perfezione nella doppia curva del suo collo con la nuca e il becco che svirgola. Il suo riflesso nell’acqua e i colori del tramonto mi rimandano a razzo nei miei mondi, uno dei quali appena visitati casualmente: “A Swan Lake” di Alexander Ekman; l’ho trovato cambiando canale in TV, proprio come la svolta in curva per cui mi sono imbattuta in questo esemplare di pennuto e ora ve ne dirò.

Ve ne dirò come di uno spettacolo intelligente che se la gioca sul piano pop. Diventa ciò che è sempre stata la danza: uno spettacolo per tutti, che non richiede necessariamente una particolare conoscenza o comprensione perché è strutturato con una tale varietà di linguaggi teatrali (dal musical al bel canto, alla danza ovviamente) e grande ironia, che va da sé che anche solo uno di questi aspetti possa coinvolgere lo spettatore “normale e/o non avvezzo al genere”.
Il sovraffollamento di materiale, quasi da enciclopedia del nonsense, serve a raccontare e, credetemi, non è incoerente. Sta bene insieme, come un bel tono su tono. Non è la narrazione di una storia, quella classica del lago, bensì del cruccio e dell’ispirazione che occorre per inventare una storia. Una spiegazione del principio primo, un balletto che racconta la sua genesi, forse la parola giusta per la prima parte è metaballettistico. Dunque un principio generatore che verrà rigenerato nel tempo nelle sue rivisitazioni. Come dire che ogni volta che sarà riproposto in chiave diversa da quella repertoriale, subirà una nuova rinascita con nuove invenzioni in un rimando di specchi senza fine.
Questa rifrazione la ritroviamo tra i corpi dei danzatori e il palcoscenico allagato da 1900 litri di acqua!!!
Apro una parentesi. L’acqua di per sé non è una novità, la troviamo in molti pezzi d’autore: dalla Bausch a Preljocaj; sono di fatto riusciti a metterla se non in scena, almeno in video con risultati fantastici. Moltissimi autori hanno lavorato su brani che riportavano la percezione dell’acqua, con diversi escamotage e mi viene in mente Cunningham con il supporto sonoro e gocciolante di Cage in un pezzo chiamato “Inlets 2”, oppure Bill.T. Jones con il suo “D.Men in the water” dove i danzatori si tuffano e scivolano sul linoleum asciutto (aiha!). Già, perché poi nell’acqua la dimensione del movimento è altra, per non parlare del rapporto ancestrale che abbiamo con essa, in fondo siamo fatti di…
Ecco io però con Ekman non me la sono vissuta così. Cioè secondo me lui la usa in modo differente… La danza di questo autore non è particolarmente complicata, a livello stilistico segue un percorso piuttosto noto, che non mi sento di dire innovativo, piacevole ma quasi istituzionale nel nord Europa. Credo che il suo campo di ricerca sia la ritmicità del movimento, la possibilità che i suoni provenienti dal movimento stesso conducano una danza che non è muta; l’acqua gli offre la possibilità di rendere questa peculiarità ricca di rumori differenti ed esponenzialmente amplificati visivamente.

A mio parere, Marghe, in questo incredibile LAGO, L’ACQUA è l’elemento neutro che enfatizza una narrazione, che di fatto non è mai stata possibile ambientare “a mollo”, beh lo capite da soli…Davvero uno stormo di cigni chiassosi e più vicini ad animali che a eteree fanciulle: SPLASHHHH, SPLUFF, SCIAGOSCIAGO….. Ma soprattutto che compiono il processo inverso rispetto alla storia tradizionale: da esseri umani a uccelli acquatici. Bello!

Sottolineo che il “divertissement” qui perde il suo significato barocco tradizionale, cioè non è più semplicemente prova di virtuosismo degli interpreti, ma acquisisce più riccioli dorati che mai, in una fantastica carrellata di giochi nell’acqua surreali, come lo zampillo di fontane a corte in una reggia lontana e un po’ grulla.
Provo invidia e ammirazione per i danzatori che hanno lavorato a un pezzo che immagino sia stato complicato da montare, devono essere stati ore e ore in ammollo. Credo mi sarebbe venuta la muffa sotto le ascelle e i piedi palmati.
– Questo per me non è un “Lago dei cigni” – Mi dice una mia amica e posso capire.
Guardo il pennuto che galleggia superbo a un passo da me, penso che sia semplicemente cigno nero nell’acqua e che ciò mi riporta allo spettacolo di Ekman molto più di quanto non mi conduca al balletto simbolo del repertorio ottocentesco.
Giù il cappello.


Poi mando le mie foto alla Stef, che mi capisce e che di Lago e di Cigni ha scritto e parlato così tanto che non vedeva l’ora di leggermi.

foto di copertina Erik Berg
fotografia cigno MargheMana

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