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di Stefania Sanlorenzo

“LA DANZA è CULTURA”

Il tempo trascorre immoto. Lei percepisce se stessa quale una visione dall’esterno; non è forse lei quella donna, almeno quella seduta di spalle sulla panca, al museo, davanti a quel quadro? Un grande quadro, un dipinto di una figura femminile (“La Venere di Urbino”): le sue forme, la posa semi-sdraiata, la nudità e i lunghi capelli, lo sguardo.

…Invece ecco la schiena dritta in una linea elegante di una camicetta di seta bianca, leggera. I capelli corti neri, ben pettinati in un taglio preciso, ma portati dietro le orecchie, le mani accanto ai fianchi come per dare stabilità a quel suo stare seduta immobile a fissare la parete, la tela, la cornice, lo sguardo della donna del dipinto. Forse quel tempo che non passa nell’assoluta assenza di sensazioni esterne che la sfiorino. L’uomo è appoggiato alla parete, accanto alla porta; apparentemente non ci sono altri visitatori. Altre panche forse, altri quadri, altre pareti. Le luci. Lei che la guarda chiedendosi come ciò sia possibile, se non è quella donna, pensare di esserlo.

dissolvenza….., ma restiamo lì con lo sguardo

Lo è a sua volta. A sua volta lo è: seduta sulla poltroncina poco imbottita di un teatro, con la borsa sui piedi. La schiena è appoggiata e il collo dritto, dritte le spalle, anche se è stanca. Il buio rende uguali tutti i presenti che come lei assistono allo spettacolo: teatro pieno, luci di sala spente, regia in alto centrale… lo conosce a memoria quel teatro. Le pareti irregolari, le pietre, i pezzi di ferro che fuoriescono in una scelta di ristrutturazione non casuale. Quinte, linoleum, palco raso terra, fondale: ora è doppio; hanno ricostruito un secondo muro con porta e quel quadro che diventa, sparendo, una finestra su di una camera mortuaria. Davvero? C’è una barella, dei suoni, un corridoio. Vero! Altra gente che si muove: il palcoscenico le dà l’impressione di una scatola da scarpe ruotata, un grande foro sul coperchio e tutto stipato li dentro. Le panche che si muovono, mah sicuro! E’ un accorgimento scenico, ridefiniscono lo spazio danzato. Siamo a SIENA, in un museo di questa città d’arte italiana. Nella scatola da scarpe. In verità lei è a Torino, sola. Che stupidaggine! Sua cugina è seduta due fila più su e il teatro è pieno. A casa ha lasciato tutti di corsa perché arrivava dal lavoro e doveva prepararsi. Li ritroverà addormentati o ad ascoltare musica e-o a guardare la TV. Non parlano più, stanno insieme consapevoli che non sia più una gioia ma un dato di fatto. Non è giusto; è triste eppure in questo momento è così.

 

In verità siamo a Siena perché questa compagnia affermata nel panorama internazionale, La Veronal, usa il nome della città d’arte italiana per il proprio lavoro: qui una coreografia originale di MARCOS MORAU.
Se il punto di partenza è visivo, già a più piani, e la corporeità attira lo sguardo dello spettatore, tuttavia si avverte che il CORPO come la materia di cui è intrisa un’opera d’arte è il mezzo di comunicazione nei secoli di una realtà complessa, quella umana, che attinge dal Rinascimento fino all’oggi, alla contemporaneità; e fa uso di molti aspetti artistici (cinema letteratura teatro danza) in un’auto-riflessione su di sé, che parte dal corpo e dall’osservazione e si astrae scompaginando i piani (materiale-immateriale//reale e percepito//visivo o introspettivo ….).
Il fulcro del lavoro di questa compagnia che viene dalla Spagna, è un equilibrio fra come l’UOMO sente se stesso e poi di come si palesa. Nel caso specifico (sesto capitolo di un lavoro di una decina di “racconti” su spunto artistico-geografico, inerente la tradizione e l’evoluzione della PITTURA) si passa attraverso la storia dell’arte e quindi il senso auto-rappresentativo del materiale umano.

Torino, 22 marzo 2018 – Teatro Astra – PalcoscenicoDanza
ph: Jesús Robisc

foto articolo, per mia libera interpretazione, ringrazio MargueriteKris Duras, nel gioco di sovrapposizione delle figure femminili….. me compresa.

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