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by Marghe&Stef, di Margherita Mana

Sono semplicemente sdraiata sull’amaca nel mio uliveto e il dondolio concilia pensieri oziosi. Alcune formiche mi corrono addosso indaffarate; chissà se mi interpretano come un parco divertimenti o come una specie di ostacolo, in una gara cosmica tra loro e IL GRAN GUIGNOL di un mondo fatto di bricioline… Mi capita di osservare la natura, anche solo un filo d’erba o il cuore di una corolla; mi animo nello scoprirvi un insetto qualsiasi. Di solito scatto qualche fotografia, oggi penso al fatto che sono solo uno spettatore; però, volendo azzardare, anche se avessi contribuito a un solo filo d’erba, questa cosa sarebbe sicuramente sfuggita al mio controllo. Sì perché la creazione, a un certo punto, prende una strada tutta sua e non ci appartiene più. Pensai così quando Mats Ek annunciò la sua volontà di non rappresentare più i propri balletti. Egli era libero di pensarlo e di farlo, giustamente, ma oramai tutta quella bellezza era in circolo e aveva influenzato generazioni di danzatori e di coreografi; cambiato l’immaginazione e la trasposizione coreografica del pensiero e/o della parola. Egli ne era l’artefice (con tutta la dovuta proprietà intellettuale), tuttavia la sua identità aveva influenzato quella di tanti altri.
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Quasi in contrappunto richiamo alla memoria artisti che inseriscono nel processo creativo un alter ego che immagino funzioni un poco come una dissonanza: esso stesso è la creazione e il creatore originario (ego/identità). L’ho fatto anche io, in coreografia, come Stef in scrittura (e lo vinse quel piccolo concorso….). “Scrivere” sotto un altro nome, non perché ci vergognassimo o il nostro io fosse così megalomane da doversi confondere; volevamo che ci fosse una sorta di “filtro” tra noi e ciò che si esprimeva attraverso di noi.
Lo so che detto così sembra una bizzarria, è invece un ulteriore esercizio di libertà e di contenimento di alcune dinamiche personali: se da un lato recintavo la parte meno interessante di me, dall’altro davo una piccola spinta all’espansione di certe attitudini che mi avrebbero permesso di andare a guardare oltre le mie solite prospettive. Insomma questo era quello che cercavo io (La Marghe).
Mi è capitato di chiacchierare con la mia amica Chiara, ragazza talentuosa, di professione scenografa e costumista. Mi raccontava che sta lavorando con un giovane coreografo italiano a Rotterdam: il suo nome è Dario Tortorelli. Parlando mi ha descritto lo spettacolo che andrà in scena, con la sua compagnia DIVEinD, a settembre e per il quale hanno lanciato un crowdfounding, che ho piacere di segnalarvi.
Sono dieci anni che Dario mette in scena il suo alter ego, Romeo Heart, che può essere donna, uomo, oggetto, come un luogo, una frase: insomma si reincarna in modalità creative diverse. Questo è una cosa che mi convince, dico il fatto che possa essere più cose o persone; trovo che offra più livelli di lettura e fruizione, inoltre vada a toccare molti temi che dovrebbero essere cari alla danza contemporanea. Per intendersi: l’essenza, la possibilità di sperimentare relazioni con luoghi e oggetti diversi dal corpo del danzatore, l’osservazione e la ricostruzione di un possibile luogo scenico non convenzionale, la possibilità di formulare linguaggi personali.

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La nuova creazione si chiama TRANSMOTION, questa volta, Romeo Heart si materializzerà come il luogo in cui si svolge la produzione. Il pubblico sarà all’interno di un personaggio, o meglio sarà chiamato a decifrare l’essenza di esso negli oggetti o nella collocazione delle varie fasi del progetto. Dentro il “cavaliere errante” che in altre produzioni indossava armatura e casco, un po’ come all’interno di un cavallo di troia per espugnarne il senso. Ad accompagnare Dario Tortorelli, che torna dopo un po’ di tempo, ci sarà il compositore Thierry Castel, l’artista visiva Rosalie Wammes e la mia amica Chiara Amaltea Ciarelli.
Vi lascio ripensando alla storia della creatura/creatore/creazione e di come alle volte si allunghi la strada per godere meglio del paesaggio.

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