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recensione di Stefania Sanlorenzo

 

Già era proprio quella sera che dovevo andare a teatro. Mi ero confusa fra due spettacoli in una sovrapposizione di titolo e di mie idee, spesso estremamente contorte, quali frammenti di pensieri più profondi, almeno così mi piacerebbe pensarla, cocci di emozioni passate o percezioni in divenire: la solitudine, l’aspettativa, la delusione, il silenzio, la gente… porte, finestre, sale di attesa o caffetterie. Notturni e raggi di luce che si posano sul colore delle tele.

Fisso quelle tele, quadri di Edward Hopper; opere cariche di colore in un silenzio che sa di compiuto. Mi pongo delle domande, mute.
Come posso ascoltare quel silenzio in teatro se non producendo un suono non-suono quale lo stridere delle unghie su di una superficie qualunque di un muro qualunque. Come faccio a capire che non ha nessuna importanza quel muro se si tratta di una parete anonima, se non perché vi è una donna innanzi e l’abito ha un colore in contrasto: è per questo motivo che noto la parete e lo scorrere della mano su di essa mi dice che tutto tace. Silenzio. Dissolvenze create da lame di luce che attraversano il vuoto descritto da una finta parete, non più laterale bensì di fondo e con una finestra: riquadro rettangolare, preciso, come quella porta che scopro esserci solo quando una figura umana, uomo o donna, la attraversa.
La scena cambia. Il movimento crea il cambiamento; quel movimento gestuale di attori che nei quadri non possono muoversi davvero per mostrare frammenti di storie umane compiute.

Certo! Ora mi ricordo. Sto guidando e parcheggio. Mi piacciono i quadri di Hopper e volevo vedere questa rappresentazione teatrale dei più famosi. Sono al mio posto al Teatro Astra di Torino. Mi sento a casa qui. Guardo.
Lo riconosco quel silenzio delle tele nei giochi di chiaro-scuro delle luci del palcoscenico; ricordo i soggetti nei movimenti degli attori di FRAME, UNO SPETTACOLO DI KOREJA: ideazione e realizzazione di ALESSANDRO SERRA. Scene di Mario Daniele e movimento in scena di Chiara Michelini. Si tratta di una co-produzione: Teatro Koreja (direttore artistico Salvatore Tramacere) e Teatropersona per continuare un progetto cultura che qui rende visibili le opere del pittore, portando sulla scena di un palco “frammenti” di storie umane laddove tutto cambia in un rapido istante senza fare rumore.
Frame-Fragmentum da “frangere” cioè rompere. Non c’è pathos nelle tele di questo pittore americano del pieno Novecento, piuttosto l’intento di rappresentare attimi colti tra il visibile e l’invisibile di storie della vita di tutti i giorni, di persone qualunque, come me oggi e ieri e domani.

Il colore esalta il disegno di un istante di vita vissuta che si palesa allo sguardo: Automat (tavolino di un bar e tazzina), Morning sun (figura femminile sul letto alla finestra) A Woman in the sun e il celebre bar de I Nottambuli.

Il movimento scenico degli attori definisce il passaggio da un quadro a un altro, cosicché sarà la frammentazione del racconto anti-narrativo a rammentare le frattura che ci colloca nella nostra vita tra passato e futuro, sbirciando solo un momento di quel pezzetto di noi.

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