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In realtà c’era l’idea di focalizzare il nostro lavoro. Dovevamo produrre una scritta sintetica e immediatamente comprensibile e magari in inglese, perché…. Boh! Perché va di moda.
“DANCING INTO WRITING”
Non sappiamo neppure noi due, la Marghe e io, come ci vengano certi pensieri, ma siamo troppo stanche per porci domande esistenziali. Aspettiamo dopo i saggi o anche a Settembre. Vedremo in base alle vacanze.
Al momento di scrivere ci siamo guardate e bloccate in un déjà vu che mette me sempre alla ricerca di una risposta da parte del Karma e lei a un vuoto obnubilante che la convince a uscire nel prato, a fare due passi in campagna, o a rovistare in improbabili scatole di cartone. Molto pittoresco ma la foto la troviamo sul Web, comunque dopo una passeggiata bucolica.

 

vaslav

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C’è quest’uomo a mezz’aria, sta usando le braccia come ali, lo deduco dal fatto che le mani sono mosse. La guardo per trovarvi quella risposta che da tutto il giorno stiamo cercando. “Troppo vasto l’argomento. Dobbiamo avere una linea guida…”, la Stef commenta mentre decide che deve avere una pomata perché qualcosa l’ha punta, o è l’allergia…. Mah non c’è da darle retta, fa così ma se la cava sempre e da sola.
Ecco, invece io sono qui che tento di scrivere di danza, anche quando danza, nel senso più stretto del termine, non è. Mi prendo un’altra pausa e annuso i gigli, che ho sul tavolo, rubati dall’oliveto di fianco a casa mia: mi chiedo come potrei parlare di un profumo, come di un’altra percezione e se la danza alla fine non sia che quello.
Ricomincio la mia descrizione: ha un completo che posso ipotizzare grigio, visto che la foto è in bianco e nero; ha scarpe con lacci e piedi flessi, come se avesse usato solo la spinta delle cosce per arrivare lì. Un po’ dietro una sbarra, una foto incorniciata, un orologio da muro e un armadio. La sua ombra sul muro, doppia. Un viso bellissimo. “Se mi chiedessi, Stef, che cosa secondo me sta pensando, solo nell’ipotesi che tu decida di farlo in un dato momento, ti direi che sta sentendo”. E lei guarda ancora questa foto come per trovarvi tutte le risposte, forse anche qualche domanda. “Non si può vedere”, mi dice come rattristata e lo so che cosa sta fissando. “Lui sa di sé, ma deve sentirsi, sentirsi… e solo come corpo che ha ancora un’ombra da proiettare attraverso la luce sul muro, alle spalle. Lui che ha vissuto nel buio di una mente, che soffriva e con un corpo difficile da controllare”.
“Sta provando ancora, e forse per l’ultima volta, per quello che ci è dato sapere, la sensazione di staccarsi dal suolo”, le rispondo io.
Allora spiego, anche se non tutto, perché non ne so abbastanza e perché il tema che abbiamo deciso è ben un altro. Sto parlando di una foto con Vaslav Nijinsky, danzatore e coreografo ucraino, punta di diamante dei Balletti Russi. A un certo punto perde la ragione, storia dolorosa di internamenti in case di cura, ma si ritrova in una sala ballo e segue una prova. Dal nulla compie un balzo. Così come fa questo SALTO MIRATO A QUALCOSA. Ora noi due ci chiedevamo come si fa a parlare, o meglio a scrivere di danza in modo davvero consapevole e coinvolgente. Perché è ciò che abbiamo deciso di fare.
Io sono in una posizione di favore, mi rendo conto, e passo tutto attraverso il filtro della mia esperienza personale (sì sì, è ciò che facciamo tutti, cioè interpretiamo le cose a seconda delle nostre esperienze) ma scriverne a così largo spettro, con questa modalità aiuta? Non so davvero rispondere. Forse basta una visione ampia sulle cose, senza bisogno di ‘inventare’.
“Ma noi ci immedesimiamo…”, mi dice con convinzione.
In effetti la Stef lo fa a 360°.
Torno un attimo su Nijinsky. Lui come tanti grandi hanno sentito il bisogno di raccontare l’avventura della loro danza, nel suo caso la sua odissea personale in un viaggio di un corpo idolatrato e una mente fragile, alle prese con un ingranaggio artistico e commerciale inimmaginabile per quei tempi. Ha scritto balletti, notazioni, deliri, nella stessa e originale forma in cui componeva coreografie. I famosi DIARI… Certo! Scriveva sui corpi, di corpi, il suo, in primis, di danza e dei suoi protagonisti, tutto filtrato attraverso un sé visionario e mistico, quanto lucidamente implacabile. Giungono a noi così ritratti poco lusinghieri dei personaggi che popolavano quel mondo, ma ci interessa? Non posso fare a meno che essere attratta dal suo linguaggio in qualunque forma mi si presenti. In molti casi è davvero poco comprensibile, occorre decodificare i suoi scritti. Ma credeteci, si apre davvero un mondo, un mondo in cui lo scritto e la danza si percepiscono uniti.
Non riesco a non pensare che anche la scrittura sulla danza abbia bisogno di ispirazione e di spazi larghi, di accelerazioni e cadute.

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Non è fare un riassunto, descrivere un balletto, commentare una tecnica. “No no, è molto di più, Marghe! E’ percepire nel movimento danzato l’animo di un essere che del CORPO fa il suo linguaggio, l’espressione della sua mente come dei suoi sensi”.
Il tempo, il respiro dell’universo e dell’uomo, i sogni e la realtà, la commistione del tutto in se stessi… La vita.
“Le nostre vite, Marghe! Che hanno attraversato la danza come movimento puro e ora la attraversano ancora e anche nella scrittura. Con passione, poesia, ricerca… e fantasia!”
“Perché, no?”
“DANCING INTO WRITING: guardiamo la foto, vediamo il salto e studiamo la sua ombra sul muro… “

Margherita Mana e Stefania Sanlorenzo

Un ringraziamento speciale va a Riccardo Mari che ha disegnato per noi la foto di copertina, offrendo un senso visivo a ciò che stiamo cercando.

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