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Spesso fra amici ci raccontiamo, esagerando i nostri difetti, per mostrare di avere senso di autoironia, per strappare un sorriso e una benevolenza preventiva. Non si sa mai.
A volte diciamo la verità; sono sincera quando dico a Stefania che non trovo più il telecomando della tv: sono otto giorni che frugo ovunque. Sono super sincera anche quando apro il mio cassetto del comodino e, nonostante io abbia sotto al naso ciò che cerco, non lo vedo. Stef è concreta e sa dei miei problemi di vista, ancora meglio conosce quelli di concentrazione. Sì, perché io apro quelle asticelle di legno incollato e ci scopro il mondo. Nulla di particolare eh?! Gli orecchini, il termometro, la rubrica degli anni ’90, sette fazzoletti di carta, la foto di mia nonna, due collane, un mazzo di carte da gioco, un decongestionante nasale. Tutto normalmente rassicurante; ma non è proprio vero. Ciò che rende il mio cassetto particolare è il caos, che, in quel preciso spazio curo, non procuro ma coltivo.
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Mi sono trovata a guardare coreografie in cui il senso dello spazio, popolato di corpi che causavano delle modificazioni in esso, era terribilmente controllato.
Questa volta, invece di dirlo, l’ho postato su Facebook!
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Ovviamente mi riferivo a qualcosa che avevo visto: una vera vertigine di file, diagonali e geometrie maniacali, simmetrie così poco attraenti da far rimpiangere la confezione del mio decongestionante nasale (che perlomeno è di un bel tono di verde). Mi sono chiesta da dove arrivasse tutta questa disciplina. Dal balletto classico? Dall’esercito? Dal bisogno che abbiamo di far capire e-o capire noi stessi istantaneamente cosa stiamo facendo; oppure dove vogliamo arrivare? Non lo so, forse tutte queste cose insieme che hanno cristallizzato una consuetudine.
E giù gli amici a scherzarci sopra.
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Eppure oggi, come ieri, ci sono coreografi che hanno scombussolato l’idea dello spazio avendo a disposizione gli strumenti convenzionali del creatore di coreografie: corpi addestrati, spazio e tempo. Credo che la marcia in più sia quel saper osservare il caos e cercare di riprodurlo, accettarne le varianti e costruire su queste. Nelle possibilità che si presenteranno, sempre diverse, ci sono mille soluzioni e mille e un problema. Il coreografo prende atto di quei problemi, li evidenzia o li elimina a seconda di cosa, secondo lui, occorre in quel momento.
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Stef a volte fa finta di essere sopraffatta… ma in verità entra in modalità “ricerca”. Tipo: Come si fa a evocare l’entropia?
Io direi… Come si fa a non creare situazioni pericolose per le persone che la danzano? Ci sono tecniche, molto specifiche che si basano sulle differenze di ritmo per esempio, oppure dimezzando o amplificando lo spazio. Perché gira che ti rigira si parla sempre di corpi-spazio-tempo.

“Prova tu stessa, Stef, ti invito a un brutale esperimento: apri e chiudi un cassetto velocemente; l’ordine al suo interno varierà e lo farà anche a seconda della forza e veemenza che ci metterai. Potrai notare che la posizione nello spazio in cui sono messi gli oggetti è diverso, avrai situazioni nuove ogni volta. Poi, se ti da noia il caos, il cassetto farai bene a chiuderlo subito!”
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“Marghe ma tu hai presente tutte le possibili sfumature che ha il concetto di entropia? Comunque te lo concedo, perché ci stiamo pure noi! E’ pazzesco ma ci stiamo…”
Insomma noi utilizziamo il concetto di entropia come una misura del disordine di un sistema e la sua tendenza al caos e pretendiamo che questo sistema sia una coreografia.
Mi spiego.
A entropia maggiore corrisponde il grado minore di ordine. Non solo, ma i sistemi isolati tendono proprio a evolvere verso i sistemi a entropia maggiore.
E fu il caos? No! Perché è vero che nello spazio si volge al disordine, ma acquistiamo una sequenza temporale degli eventi: come quando urti i libri su di una mensola… cadono secondo una sequenza disordinata, ma definita nel tempo.
“Sì, ma cosa ottengo con tutta sta manfrina dell’entropia, vorrai sapere?” Mi chiede, Marghe.
E io di rimando le chiedo se secondo lei la coreografia sia un sistema isolato o aperto.
Perché nel primo caso l’entropia può solo aumentare, nel secondo può fluire all’esterno e tendere a diminuire.
Ebbene ci sono due step.
La coreografia è un sistema chiuso: tutto avviene all’interno: lavoro, energia, caos, ricerca dell’ordine…. Quanto detto insomma; ma si apre e fluisce verso l’osservatore (secondo step).
E qui ribaltiamo il tutto… perché nella comunicazione-informazione di un segnale aleatorio, l’entropia tende al minimo affinché il messaggio per quanto improbabile (primo step, lavoro sul caos) sia significativo. E a noi interessa questo alla fine.
“Posso solo dirti, Stef, che proverai stupore, che è tanto meglio della confezione di quel bel tono di verde del mio decongestionante nasale.”
Abbiamo scelto dalle fotografie di Trisha Brown, ma il video è di un giovane coreografo, oramai famoso per i suoi lavori: Andonis Foniadakis.

 

M & S (Margherita Mana e Stefania Sanlorenzo)

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