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Nei giorni scorsi vi abbiamo parlato della Settimana Internazionale della Danza “Città di Spoleto” che nel 2017 volgerà alla sua 26° edizione. Sulle pagine di iodanzo.com avete potuto leggere le interviste al Direttore, Paolo Boncompagni, alla Direttrice Artistica, Irina Kaskhova, e al Presidente di Giuria, Roberto Fascilla, ma c’è una figura fondamentale che da 26 anni lavora nel dietro le quinte del Concorso: lo stage manager Piero Martelletta.

Tra le altre cose ex primo ballerino del Teatro dell’Opera di Roma, Martelletta è una di quelle persone che ti capita difficilmente di incontrare nella vita (parere personale di chi scrive): l’istantanea empatia che ti trasmette, per la sua travolgente simpatia, è pari al timore reverenziale che ti coglie quando lo vedi lavorare sul palcoscenico; a tutto ciò si aggiunge l’immensa stima che provi quando ti travolge con la sua cultura e con la conoscenza del suo ruolo.

Sei accanto a Paolo Boncompagni nell’organizzazione di questo concorso dal 1992, quando era il Concorso Internazionale di Danza di Rieti, passando per la parentesi di Perugia dal 1998 al 2002. Il tuo ruolo è quello dello ‘stage manager’, ci spieghi in cosa consiste?
La mia figura sarebbe quella del ‘direttore di palcoscenico’ solo che il direttore del palcoscenico, quando lo fa per una struttura, ha un compito ben preciso: rappresenta l’istituzione principale del palcoscenico, è il responsabile del palcoscenico per cui se succede qualcosa ne risponde lui in prima persona. Il lavoro in un ente lirico è più semplice e meno complesso rispetto a quello in un concorso o galà.
Durante uno spettacolo il direttore di palcoscenico ne detta i tempi, controlla la scenografia, l’attrezzeria, e che gli artisti si stiano preparando per l’entrata in scena. Quando invece si tratta di lavorare su un concorso, per quanto riguarda me, non sono solo più il direttore di palcoscenico ma se non c’è l’orchestra sono anche l’addetto alla musica, se non c’è un disegnatore luci sono l’addetto al disegnatore luci, e così via. In questo modo tutto si lega insieme. È un lavoro complesso e con una certa responsabilità.

Come è avvenuto nella tua vita il passaggio tra ballerino e stage manager, percorso non consueto?
Guarda, io sono un po’ anomalo. Sono un ex danzatore e ho fatto il mio percorso: ho avuto la mia compagnia, ho fatto coreografie, insegno, poi ad un certo punto ho avuto la visione della mia vita. Io sono molto curioso per natura quindi già mentre danzavo come primo ballerino mi guardavo intorno e vedevo cosa faceva l’uno, l’altro e l’altro ancora e andavo a chiedere ai tecnici come funzionavano le luci, come mettere in moto i vari meccanismi, quali erano le tipologie di sipario e come funzionavano ecc. Così, stando anche dietro alle quinte e non pensando solo ai passetti (anche se sono innamorato dei passetti!), la curiosità mi ha permesso di avere la mia evoluzione.
Il mestiere del ballerino purtroppo lo fai finche sei bello e giovane, quando questo viene a mancare qualcosa devi pur pensare di fare. Quindi, invece di andare in pensione a guardare il soffitto, ho avuto l’intuizione e forse anche l’istinto.
Inoltre sono stato particolarmente fortunato perché tutto questo è successo che ero ancora all’interno del Teatro dell’Opera, negli anni della direzione Carla Fracci/Beppe Menegatti che mi chiesero subito se negli ultimi anni all’interno del teatro avrei voluto svolgere per loro questa professione. E alla Signora Fracci non si dice di no!
Poi ho iniziato con Paolo Boncompagni e questo concorso, in un sodalizio che dura ormai 26 anni.

E insieme avete fatto crescere questo importantissimo concorso.
Il concorso è nato a Rieti, indigeno e circoscritto. Poi, poco per volta, questa cosa si è evoluta, abbiamo cambiato location, e da quando Irina Kaskhova è entrata a far parte del nostro staff e ha assunto la direzione artistica, legandoci a questo circuito di concorsi a livello mondiale, il livello si è alzato tantissimo. Per quanto riguarda la danza classica è cresciuto davvero esponenzialmente diventando un punto di riferimento del panorama nazionale e non – e forse era la cosa più problematica – mentre per quanto riguarda la danza moderna abbiamo comunque delle buone cose già in Italia. È cresciuto molto e crescerà ancora.

 

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