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di Stefania Sanlorenzo

Quest’anno la stagione del VIGNALE MONFERRATO FESTIVAL, sul palcoscenico montato IN PIAZZA DEL POPOLO, si apre con il nuovo allestimento 2017 di una coreografia che ha una trentina di anni: il “GIULIETTA E ROMEO” di FABRIZIO MONTEVERDE.
In scena ci sarà il BALLETTO DI ROMA con un buon ensemble di ballerini e due gradevolissimi interpreti per gli amanti di William Shakespeare.
In verità sono stata invitata per incontrare un gruppo di spettatori che incuriositi dal nuovo approccio del Festival, avessero voglia di fare due chiacchiere sulla danza in generale oggi e sul balletto, mentre la Compagnia finiva le prove (Vignale e la Danza hanno da tantissimi anni ormai un legame forte… Adesso anche Moncalvo gode di importanti opportunità ed eventi. Insomma fa piacere che le colline del Monferrato, la città di Casale Monferrato stessa, siano richiamo per cultori dei paesaggi suggestivi, dell’enogastronomia e dell’arte coreutica).
Dunque in una serata davvero fresca e molto ventosa, le note di Sergej Prokof’ev si disperdevano e a tratti ci raggiungevano.
Il mio problema era sempre il solito che affronto da anni: unire le parole che avrei detto al movimento cui avrebbero assistito. Perché la danza esprime se stessa attraverso corpi in dinamiche che sono tutte visive: pesi e contrappesi di corpi che eseguono combinazioni di passi, definiscono linee, le spezzano, ridisegnano lo spazio. C’è uno spazio scenico che avvolge lo spettatore e c’è uno spazio danzato disegnato dall’andamento delle sequenze con o senza musica di accompagnamento, capace di creare il senso del tempo.
La danza si scrive, dico. Come la musica. Esiste una notazione musicale, esiste una notazione coreografica. Nel balletto che vedranno, musica e danza saranno PERCEZIONI SENSIBILI, pertanto emozioni che potranno potenzialmente entrare in RISONANZA con lo spettatore.
Allora spiego due cose tecniche: faccio notare che danza e balletto non sono sinonimi, che questo balletto è stato riletto, cioè destrutturato e nuovamente assemblato proprio nella tecnica, oltre che nella visione psicologica. Tuttavia la scelta musicale è stata di tenere la partitura originale: il classico rimane incuneato in una scelta coreografica pulita, quasi scolastica, molto morbida, senza virtuosistiche forzature. Non c’è la pomposità del balletto originario; c’è una nuova sensibilità “al femminile”: come mostra il titolo. Giulietta diventa la chiave di lettura di una storia d’amore universale, cioè che porta in sé le specifiche di qualcosa che parrebbe nella profondità e amabilità della poetica shakespeariana non poter avere fine. Invece non è così. L’amore nasce, l’amore di Giulietta è determinato al cambiamento, a imporre essa stessa come donna, a dare una visione nuova, che superi diatribe (il tempo storico è un altro, siamo nel secondo dopoguerra di un Sud Italia in lenta ricrescita; quindi anche i luoghi e i costumi sono diversi….).
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I colori si mischiano: rossi e neri su sfondo tanto scuro. Non c’è molta luce in scena. Questa oscurità sembra seguire come ombre ogni personaggio, tutti già toccati dal dramma conclusivo: la morte. Solo Giulietta pare non vederlo, quasi civettuola oltre che determinata. Romeo è un Romeo delicato, toccante. Una sensibilità dolce pervade il personaggio e il ballerino sa renderla in scena. Sentiamo il suo sentire: egli ama. Non sa, non si chiede, non progetta…. Giulietta lo prende per mano e lui è perduto. In questo il senso poetico del testo resiste e ci colpisce. Prima che gli eventi si compiano.
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La storia la conosciamo tutti. La scena del balcone tocca l’originalità definita come una parete di free climbing indoor. Un PUGNALE passa di mano in mano, cominciando da quelle della mamma di Romeo, incidendo morte, fino a quando arriva a Giulietta che, con la stessa determinazione con cui ha amato, si uccide.
Non so se ho avvicinato Voi spettatori allo spettacolo, ma credo che la parola possa spiegare molti aspetti della danza e che quindi, sì, valga la pena sempre parlarne.
L’italiano è già una lingua ricca di sfumature; io studiai il greco antico (e non traducevo per niente bene; avevo forse poca fantasia…) ma ho imparato ad apprezzare i livelli diversi della comunicazione. Per esempio AMANTI in greco si esprime in un ‘numero’ che abbiamo perso: il duale (singolare, duale, plurale); sottolinea che sono solo LORO DUE, GIULIETTA E ROMEO.
E che dire di questo amore? Rimane sospeso. Quale temporalità può davvero definirlo? Stiamo per riviverlo ancora una volta giusto? Dunque?
In greco c’è un tempo che è l”aoristo’ (scrive Andrea Marcolongo in “La lingua geniale-9 ragioni per amare il GRECO”; e io mi avvalgo di questa lettura per spiegare alcuni concetti personali): teniamo conto che in italiano lo rendiamo come passato remoto; in verità perché abbiamo un’altra concezione del tempo.
“L’aoristo ha in sé qualcosa di spettacolare e di struggente: la certezza di averlo perduto per sempre e uno sfocato rimpianto di quel modo di stare (quando si ama, ‘si sta’). La nostalgia delle cose che non si sono vissute e che non si vivranno mai.” cit.
Forse si può pensare che Giulietta e Romeo si siano amati in questo modo: in un istante di tempo indefinito. Si amarono, finché quel pugnale non è giunto a lei.
‘Il pugnale di Giulietta’: perché, alla fine, proprio a lei era destinato .

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